" Esopo e la favola. Esopo fu l'inventore della favola?"

Esopo e la favola

Esopo è davvero l’inventore della favola?

Non pare così.

Le origini della favolistica, come espressione di arte popolare, si perdono, infatti, nella notte dei tempi.

La prima testimonianza della favola risale ad Esiodo e dopo di lui, numerose tracce di racconti favolistici, sono riconducibili ad Archiloco.

Perché, allora, questo vanto viene attribuito ad Esopo?

Perché Esopo riuscì ad imprimere al genere favolistico una materia viva.

Attraverso la finzione della favola, dietro il travestimento animalesco, Esopo volle proporre un’interpretazione del mondo dal punto di vista degli umili.

Il mondo degli umili è un mondo senza grandi ideali, senza progetti a lunga scadenza, senza ambizioni.

La lotta quotidiana per la vita impone la dura necessità di trarre profitto, (la cosiddetta arte di arrangiarsi),

da tutto e da tutti.

A volte è utile la solidarietà perché l’unione fa la forza, ma altre volte bisogna studiare i punti deboli degli altri e approfittare, senza pietà, della loro ingenuità.

In ogni caso per sopravvivere è giocoforza adeguarsi alla dura legge del lavoro e questo, si sa, non lascia spazio per il divertimento, il canto e la libertà.

Difronte alla prospettiva di una vita di lavoro continuo ed ingrato non meraviglia che l’uomo, stanco e affranto, si lasci cogliere dalla disperazione. Allora la morte diventa preferibile alla vita.

Dinnanzi all’oscura realtà della morte, la scelta della vita prevale, ma solo perché l’uomo possa ricominciare a percorrere la stessa via, con lo stesso carico di sofferenze e di illusioni. Al di là dei successi momentanei una vera alternativa al mondo dominato dalla violenza e dal dolore non esiste.

Questa è la grandezza e il limite della lezione di Esopo.

Esopo ha saputo indagare e ritrarre la vita degli umili nella tragicommedia dei loro estrosi ripieghi e nell’infamia della loro secolare oppressione; tuttavia, chiuso in un’opaca e fantastica rassegnazione, non ha osato alimentare la speranza di un reale cambiamento.

L’opera di Esodo risale al I o al II secolo d.C. e comprende un corpus di circa 400 favole.

La lingua impiegata è la κοινὴ.

La morale, posta prima o dopo il racconto, denuncia una revisione tardiva.

Esopo, originario della Tracia o della Frigia,

fu probabilmente schiavo di un uomo di Samo

e visse nel VI secolo a.C.

La notizia che sia morto di morte violenta a Delfi sembra imputare alla consuetudine antica di inventare analogie tra l’opera di un autore e la sua biografia, in questo caso tra l’ostilità delle sue favole verso i potenti e la sua uccisione per mano dei sacerdoti di Delfi.

 

 

Il Lupo e l’Agnello

Un lupo, vedendo un agnello che beveva ad un ruscello, decise di divorarlo con un pretesto; quindi pur stando più in alto, lo accusò di sporcare l’acqua e di impedirgli di bere.

L’agnello rispose che sfiorava appena l’acqua con le labbra e che, in ogni caso, stando più sotto, non poteva sporcare l’acqua che scorreva più su.

Non avendo il pretesto ottenuto l’esito sperato,

il lupo soggiunse: <<Tu, però, l’anno scorso, hai insultato mio padre>>.

L’agnello rispose che in quel tempo non era neppure nato;

il lupo, allora, concluse: << Anche se tu non hai difficoltà a giustificarti, io nondimeno ti mangerò>>.

 

Morale:

Violenza e frode reggono il mondo ma, finché è possibile, amano ammantarsi di giustizia, in modo da coprire col diritto l’ingiustizia e perpetuare i soprusi senza correre pericoli; quando poi sono costrette a gettare la maschera, mostrano il loro volto arrogante e brutale.

In realtà la violenza e la frode non corrono pericoli.

A soccombere è sempre chi, davanti ai misfatti dei potenti difende, anche timidamente, la propria innocenza, come l’agnello.

 

Le Rane chiedono un Re

Le rane, non potendo più soffrire l’anarchia in cui vivevano,

mandarono dei messi a Zeus, pregandolo di inviare loro un re.

Zeus, conoscendo la loro semplicioneria gettò giù nello stagno un pezzo di legno. Dapprima le rane, spaventate per il fracasso, fuggirono nei gorghi profondi della palude; poi, quando videro che non si muoveva, risalendo giunsero a tal punto di disprezzo per il re da saltarvi sopra e da sedervisi in mucchio.

Mortificate di avere un tal re, si recarono una seconda volta da Zeus e gli domandarono un altro re, poiché quello era troppo indolente. Allora Zeus, irato, mandò loro una biscia che le prese e le divorò tutte.

 

Morale:

Ai deboli e ai poveri, per evitare il peggio, non resta che tacere e subire. A loro non è lecito neppure sperare, perché ogni sogno di libertà dura lo spazio d’un attimo; poi, non si sa per quale sortilegio, si corrompe inesorabilmente. Ogni tentativo di mutamento si trasforma in amara disillusione e conduce ad una rovina maggiore.

 

 

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